Domanda: Siete fascisti? Era il fascismo a imporre traduzioni italiane di tutte le parole straniere. Avete per caso nostalgia del Ventennio, di “arlecchino” al posto di cocktail e “qui-si-beve” invece di bar?
No. Siamo un gruppo apartitico, del quale fanno parte persone di orientamento politico molto diverso tra loro: dalla sinistra alla destra, passando per il centro e per chi della politica si interessa poco. Siamo per la libertà individuale e dunque contro il fascismo e ogni dittatura. La politica linguistica fascista, però, non è l'unica possibile, fortunatamente. Molti Paesi democratici oggi hanno delle politiche linguistiche, come la Francia o la Svizzera, per esempio. Non vogliamo imporre traduzioni o vietare parole, ma stimolare e favorire l'evoluzione dell'italiano anche tramite neologismi e adattamenti, come è stato per secoli e com'è tutt'ora in altre lingue.
Il Fascismo, regime dittatoriale monopartitico al governo in Italia dal 1922 al 1943, dichiarò guerra aperta ai forestierismi a partire dal 1923, con lo scopo di "ripulire la lingua dagli esotismi".
Nel 1937 il ministero della Stampa e della propaganda fu rifondato come ministero della Cultura popolare, più noto successivamente con l’abbreviazione dispregiativa di Minculpop, che nei confronti della stampa ebbe un’influenza decisamente più impositiva. Nello stesso anno, la tassa sulle insegne del 1923 divenne di ben 25 volte superiore, obbligando tutti ad adeguarsi. Così, nel 1938 il Touring Club Italiano diventò la Consociazione Turistica Italiana e i magazzini Standard la Standa, mentre la squadra di calcio milanese Internazionale, oggi Inter, già dal 1928 aveva cambiato il nome in Ambrosiana. Tutto si irrigidì con lo scoppio della Seconda guerra mondiale. La legge del 23 dicembre 1940 (n. 2042) vietò l’uso delle parole straniere nei documenti ufficiali, nelle affissioni pubblicitarie e nelle insegne dei negozi, pena un’ammenda fino a 5.000 lire e l’arresto fino a 6 mesi. Intanto la Reale Accademia d’Italia aveva inglobato l’Accademia dei Lincei, e fu incaricata di sorvegliare gli esotismi e di redigere un vocabolario della lingua italiana (affidato a Giulio Bertoni), visto che nel 1923 il ministro Gentile aveva sottratto questo ruolo storico all’Accademia della Crusca. Il primo volume (A-C) uscì nel 1941, ma fu anche l’ultimo, perché l’opera si interruppe con la caduta del fascismo. La commissione “per l’italianità della lingua” della Reale Accademia che si occupava di stilare le liste di parole vietate con l’indicazione dei traducenti fu invece attiva tra il 1940 e il 1942 con vari bollettini. La maggior parte dei termini erano francesi: hôtel fu rimpiazzato da albergo, grand hôtel da albergo imperiale, garage diventava autorimessa e hangar aviorimessa, il papillon farfallino o cravattino.
Alla fine si contavano circa 1.500 parole sostituite da quelle italiane e, venendo agli anglicismi, bar fu sostituito con mescita o anche qui si beve, dancing con sala danze, danzatoio o balleria e tra le altre parole bandite c’erano alcol (alcole), boy scout (giovane esploratore), cyclostile (ciclostilo), extra-strong (di uso cartario, extra-forte), film (pellicola), gangster (malfattore), pullman (torpedone, corriera, autocorriera), pullover (maglione), sandwich (tramezzino), smoking (giacca da sera), toast (pane tostato e pantosto). Tra i forestierismi ammessi c’erano invece parole usate anche negli scritti di regime come film (fino agli anni Trenta al femminile, “la film”), sport o camion, e anche nel dizionario della Reale Accademia si trovano alcuni forestierismi, per esempio clown, seppure distinto dal corsivo e affiancato dall’italiano pagliaccio. Alcune corrispondenze che circolavano in quegli anni oggi ci appaiono davvero ridicole, come il volere ribattezzare l’insalata russa, patriotticamente, insalata tricolore, oppure la proposta di tradurre cachemir con casimiro.
Tutto questo ha creato in Italia un fantasma che ancora appare ogni qual volta si parli di politica linguistica. L'eredità del Fascismo è pesante, ma è bene ricordare che fortunatamente quello non è l'unico modo di agire nei confronti delle lingue. Le politiche linguistiche e gli interventi dello Stato per promuovere e tutelare le lingue nazionali sono prassi normali. Esistono in tanti Paesi democratici come la Spagna, la Francia, la Svizzera, e anche in regioni italiane quali la Val D'Aosta o la provincia autonoma di Bolzano.
Tutelare e promuovere la lingua italiana non ha nulla a che fare con la limitazione della libertà di espressione. Riguarda invece la protezione di ciò che è locale davanti alla globalizzazione, riguarda la difesa della nostra storia, perché la lingua è il collante della nostra cultura e del mostro Paese. Lo aveva capito già Dante, nel De vulgari eloquentia, quando lamentava la mancanza di una pubblica amministrazione che omologasse la lingua e servisse da modello unico per i vari dialetti e per affermare la lingua delle “genti del bel paese là dove ‘l sì suona”. E infatti, il passaggio dai dialetti al volgare è passato anche attraverso la scelta di utilizzare l’italiano non solo per la letteratura, ma anche nella pubblica amministrazione e negli atti notarili, che avvenne a partire dal XV secolo per consolidarsi nel corso del XVI.
Oggi, però, il linguaggio della politica, delle istituzioni, dell’amministrazione e persino del Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca (Miur) sta ricorrendo sempre più all’inglese e all’itanglese. Il linguaggio della politica è sempre più infarcito di job, act, tax, spending review, question time, quantitative easing, stepchild adoption, ticket, privacy, premier, welfare… Gli anglicismi si stanno diffondendo persino nel linguaggio delle leggi e del fisco oltre che sempre più sui giornali. Dal 2018 le domande di finanziamento per i “Progetti di ricerca di rilevante interesse nazionale” (Prin) devono essere presentati in lingua inglese. Purtroppo i nostri politici non solo non se ne occupano, non solo sono i primi a introdurre anglicismi nel linguaggio istituzionale e della loro comunicazione, ma sembra che non capiscano l’importanza di una politica linguistica per l’italiano, e che siano più interessati a tutelare l’inglese.
Il gruppo degli Attivisti dell'italiano ha presentato nel marzo 2021 una proposta di legge "dal basso" per l'italiano. Si tratta per la quasi totalità di iniziative di sensibilizzazione. Non si tratta dunque né di vietare parole né di imporne, ma di stimolare la lingua italiana per farla tornare a creare neologismi e adattare parole, che possano circolare accanto agli anglicismi crudi. Poi ognuno sarà libero di scegliere quali parole usare. Puoi leggere i dettagli della proposta nella pagina dedicata.